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«Il potere della parola. La forza delle immagini». Introduzione

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Il cinema ha spesso attinto al territorio della stampa e il giornalista, nelle sue varie declinazioni, è diventato una figura ricorrente sugli schermi, non solo come pittoresco personaggio di contorno, ma in molti casi come protagonista di complesse vicende che hanno il loro baricentro nelle redazioni dei giornali.

Georges Méliès (1861-1938), uno dei pionieri della settima arte, conosciuto soprattutto per alcuni capolavori di genere fantastico come il celeberrimo Voyage dans la lune (1902), girò all’inizio della sua carriera anche una serie di piccoli film decisamente più realistici e direttamente legati all’attualità. In uno di essi, L’Affaire Dreyfus (la visione del film è possibile in calce alla pagina), dedicato al famoso caso giudiziario scoppiato nella Francia della Terza Repubblica, figura un episodio significativamente intitolato Bagarre entre journalistes. Era il 1899. Quella di Méliès è la prima incursione documentata del cinema nascente nel mondo del giornalismo. La coincidenza non fu casuale: “l’affaire Dreyfus”, che ispirò il celebre editoriale di Emile Zola intitolato “J’accuse”, pubblicato sul giornale L’Aurore il 13 gennaio 1898, fu infatti la prima grande battaglia politica condotta attraverso i mass-media.

Da allora il cinema ha spesso attinto al territorio della stampa e il giornalista, nelle sue varie declinazioni, è diventato una figura ricorrente sugli schermi, non solo come pittoresco personaggio di contorno, ma in molti casi come protagonista di complesse vicende che hanno il loro baricentro nelle redazioni dei giornali. Nel catalogo della bella retrospettiva intitolata “Newsfront” che il Festival di Locarno dedicò nel 2004 al tema “Cinema e giornalismo” sono repertoriati oltre 3000 film in cui appaiono dei giornalisti. Dopo quella data, numerosi altri se ne sono aggiunti, a conferma del costante interesse del pubblico per questa tematica. Dando anche solo una scorsa alla sterminata filmografia che chiude il catalogo della retrospettiva locarnese, un dato salta subito all’occhio: la stragrande maggioranza dei film citati, e non è una sorpresa, provengono dagli Stati Uniti, mentre decisamente minoritari sono i film europei o asiatici sull’argomento. È infatti soprattutto il cinema americano ad aver affrontato questo specifico tema, in particolare dopo l’avvento del sonoro, negli anni trenta, quando prese forma quello che successivamente è diventato un vero e proprio sottogenere: i cosiddetti “newspaper movies”, cioè quei film che hanno come oggetto specifico l’attività giornalistica e che trattano in particolare problemi legati al mondo della stampa e al suo ruolo nella società. A questo fecondo filone appartengono opere importanti di alcuni tra i più grandi registi americani (Frank Capra, Howard Hawks, Billy Wilder,…), ma soprattutto, e non a caso, uno dei massimi capolavori della storia del cinema, Quarto Potere (Citizen Kane) di Orson Welles, liberamente ispirato alla vita del magnate della stampa William Randolph Hearst.

Tre sono i motivi principali che possono spiegare la nascita e il duraturo successo del sottogenere giornalistico nel cinema americano:

a) a partire dagli anni Trenta del secolo scorso, quando si impose definitivamente il mito di Hollywood come mecca del cinema, parecchi giornalisti (oltre a numerosi scrittori) si trasferirono sulla costa ovest attratti dalle lucrative opportunità che offriva il nascente mondo del cinema e divennero per lo più sceneggiatori. Nei loro copioni raccontarono, tra le altre, anche storie legate alla realtà da cui provenivano e che conoscevano bene: le redazioni dei giornali. Il più importante di questi autori si chiamava Ben Hecht, che aveva lavorato per vari anni come reporter al Chicago Journal e che divenne uno dei più grandi sceneggiatori di Hollywood. A lui si deve il fondamentale testo teatrale The Front Page (1928), feroce satira del giornalismo sensazionalistico, più volte adattato per il grande schermo. Ma anche alcuni tra i più famosi registi dell’epoca d’oro di Hollywood ebbero dei trascorsi nel giornalismo, a cominciare da Billy Wilder, di origine mitteleuropea, che negli anni venti fu dapprima giornalista sportivo a Vienna, poi reporter a Berlino, prima di trasferirsi in America, al momento dell’ascesa al potere di Hitler. Oppure Samuel Fuller, che iniziò giovanissimo come giornalista di cronaca nera a New York, prima di diventare sceneggiatore e poi regista a Hollywood. Non a caso, in quegli anni nacque il genere noir, che trasse molti spunti dalle rubriche di cronaca nera dei giornali;

b) nel contesto storico e culturale degli Stati Uniti, il tema della libertà di stampa è da sempre indissolubilmente legato alla questione della democrazia. Si cita spesso a questo proposito una celebre frase di Thomas Jefferson (1743-1826), uno dei Padri fondatori della nazione americana e terzo presidente degli Stati Uniti : «Se dovessi scegliere tra un governo senza giornali e giornali senza governo, non esiterei un istante a scegliere la seconda opzione». Senza dimenticare , ovviamente, il famoso Primo Emendamento della Costituzione americana che garantisce la più ampia libertà d’espressione a tutti i cittadini : “Il Congresso non promulgherà leggi (…) che limitino la libertà di parola, o di stampa (…)”.

Non c’è quindi da stupirsi che con questo particolare retroterra ideologico e culturale il cinema americano abbia spesso affrontato il tema dell’informazione come una questione cruciale per il buon funzionamento della democrazia stessa, interrogandosi anche sui rischi che può comportare un uso poco responsabile della libertà di espressione. Da questo punto di vista, le redazioni dei giornali rappresentavano dei luoghi ad alta valenza simbolica nei quali talora si giocavano, e si giocano ancora, partite decisive per la libertà e la democrazia; e il cinema americano era sicuramente il più attrezzato per raccontarle efficacemente, coniugando, almeno nei casi migliori, senso dello spettacolo e riflessione critica;

c) dal punto di vista più strettamente cinematografico, la figura del giornalista veniva a sovrapporsi a tipologie di personaggi frequenti nel cinema americano e molto amati dal pubblico, diventando una sorta di figura trasversale che trova spazio in film appartenenti a generi molto diversi, a cominciare proprio dai più tipicamente americani, come il western (l’onesto direttore del Shinbone Star in L’uomo che uccise Liberty Valance di John Ford), la commedia sofisticata (la coppia di giornalisti dalla battuta pronta ne La donna del venerdì di Howard Hawks), il film noir (il cinico “columnist” del Globe di New York in Piombo rovente) o il detective movie: il giornalista investigativo impegnato in una difficile e spesso pericolosa inchiesta è evidentemente un parente stretto dell’intrepido detective o dell’investigatore privato borderline, con i quali presenta palesi analogie. Ma, come detto, il giornalista diventa soprattutto il protagonista di un sottogenere specifico, tipicamente americano, il “newspaper movie”, il cui testo archetipico è la già citata pièce teatrale di Ben Hecht The Front Page, di cui esistono almeno quattro versioni cinematografiche.

Insomma, il cinema americano, molto più di quello europeo, ha dato ampio spazio al personaggio del giornalista, esprimendo in questo modo la chiara consapevolezza che la stampa, sia essa indipendente o schierata al servizio del potere, sorretta da solidi principi etici o moralmente compromessa, svolge in ogni caso un ruolo cruciale nella società. Come ha precisato il critico Richard Ness nel suo contributo al già citato catalogo della recente retrospettiva locarnese, in questo genere di film “l’elemento fondamentale è che la stampa venga mostrata nei suoi effetti sulla società, sia quando agisce per il bene comune sia quando si abbandona alla manipolazione negativa” (Print the Legend, p.69).

Negli ultimi anni, il tema sembra essere tornato in primo piano, rilanciato da registi liberal come George Clooney (Good Night, and Good Luck, 2005) o da film dal solido impianto spettacolare come State of Play (2009), nel quale, forse per la prima volta, il giornalismo investigativo tradizionale viene messo a confronto con nuove forme di giornalismo che si alimentano sui blogs e che privilegiano i canali informatici e le nuove tecnologie. Il tentativo più interessante in questo senso è rappresentato da Redacted, il controverso film di Brian de Palma del 2007 che chiude idealmente questa mini rassegna di film di “genere giornalistico” in DVD. Il regista affronta un delicato tema di attualità (un brutale episodio di cronaca legato alla presenza di truppe americane in Irak), e lo fa sperimentando forme espressive e narrative direttamente mutuate dal web. È con queste nuove modalità comunicative che il cinema, ma anche il giornalismo tradizionale, nei prossimi anni dovranno inevitabilmente confrontarsi. Come riusciranno a farlo e con quali esiti, è un’altra storia.

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L'affaire Dreyfus (1899) - Georges Méliès © YouTube
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