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Sotto tiro, di Roger Spottiswoode

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Sotto tiro è un film del 1983 diretto da Roger Spottiswoode con Nick Nolte e Gene Hackman.

Il prologo del film, di cui si capirà la funzione solo più tardi, si situa nel Ciad, lacerato da uno dei tanti conflitti che con drammatica continuità insanguinano il continente africano. In questo contesto bellico, si incrociano le strade dei quattro protagonisti: una coppia di giornalisti americani, Claire Stryder (Joanna Cassidy) e Alex Grazier (Gene Hackman), il cui matrimonio è visibilmente in crisi, un famoso fotoreporter, Russel Price (Nick Nolde), alla ricerca dello scoop della sua vita e di cui si intuisce l’attrazione per la bella collega, e un soldato mercenario americano (Ed Harris) che non sa nemmeno per chi sta combattendo. In questa prima fase, il fotoreporter si muove in Ciad anche lui un po’ come un mercenario, arrivato lì per caso e incaricato di fotografare una realtà che non lo interessa più di tanto. Cerca comunque di fare il suo lavoro nel miglior modo possibile: da professionista qual è. Il giornalista, invece, è un po’ stanco del suo lavoro e, contrariamente alla sua compagna, vorrebbe tornare definitivamente negli Usa e mettere fine alla sua lunga carriera di inviato per riciclarsi in una più tranquilla e remunerativa Rete televisiva, ma non riesce a decidersi.

Under_fireSuccessivamente la scena di sposta in America latina: ritroviamo infatti il nostro variegato quartetto in Nicaragua, dove è in corso una rivolta contro la feroce dittatura di Anastasio Somoza, detto Tachito, da decenni ormai al potere, sostenuto e foraggiato dalla Cia. Siamo nel 1979. Il mercenario questa volta si è messo al servizio del dittatore locale, mosso come sempre unicamente dalla motivazione economica; la posizione degli altri tre, invece, nel nuovo contesto storico e geografico sudamericano evolve sia sul piano affettivo che sul piano professionale: il fotoreporter e la giornalista, tra i quali è nel frattempo scoccata la fatidica scintilla, iniziano a guardare in modo diverso la realtà nella quale sono immersi si sforzano di capire cosa davvero sta succedendo nel paese e, dopo aver assistito ad alcuni massacri perpetrati dalla soldataglia al servizio del dittatore, fanno una precisa scelta di campo. Si sarà capito che ci troviamo di fronte ad un film che, a partire da una situazione storica contingente, racconta una presa di coscienza di fronte al male.

In questa prospettiva, il film pone alcune questioni cruciali relative al tema dell’informazione. Per esempio: fino a che punto un giornalista o un fotoreporter testimoni di un conflitto possono restare equidistanti rispetto alle parti in causa? Che rapporto c’è tra neutralità e oggettività? Non c’è il rischio, adottando ad oltranza una posizione di neutralità, di fornire, anche senza volerlo, un concreto sostegno al più forte tra i contendenti (in questo caso, il governo autoritario e repressivo di Somoza)? È possibile conciliare l’esigenza di professionalità con il dovere morale della solidarietà con i più deboli, con le vittime di un conflitto in corso?

Il film, attraverso l’evoluzione del personaggio del fotoreporter, suggerisce in proposito qualche risposta. Russel, infatti, dopo aver visto morire, anche per colpa sua, un guerrigliero sandinista, per la prima volta nella sua vita prende esplicitamente posizione in un conflitto. E lo fa in una scena di grande impatto: su richiesta di uno degli insorti e dopo una notte di travaglio interiore, Russel accetta di fotografare il capo dei ribelli, Rafael, ucciso dalle truppe governative qualche ora prima, ma lo fa truccando la fotografia per far credere che Rafael sia ancora vivo (ne hanno disperato bisogno gli insorti per ridare alla popolazione la speranza che la vittoria finale è ancora possibile). Così facendo, il fotoreporter fabbrica un falso scoop e tradisce la sua etica professionale, ma il suo gesto, in quel particolare contesto storico, rappresenta un atto politicamente e moralmente forte. Russel, rinunciando alla sua abituale posizione di neutralità, ha fatto una chiara scelta di campo: si è schierato dalla parte delle vittime della dittatura e contro gli aguzzini al potere. Siamo quasi dalle parti di Sartre, ancorché in una versione hollywodianamente semplificata.

Per la cronaca, nel quartetto dei personaggi principali, la sola vittima della guerra civile è Alex, il quale, tornato in Nicaragua per tentare di salvare il rapporto, ormai molto sfilacciato, con Jill, sempre più legata al fotoreporter del quale condivide le scelte etiche, viene ucciso a tradimento da un gruppo di soldati governativi. Bisognava in un modo o nell’altro togliere di mezzo uno dei due vertici maschili del triangolo amoroso: ci hanno pensato i militari di Somoza. La storia d’amore può andare avanti.

Þ Curiosità.

Alla base della vicenda, c’è un fatto di cronaca autentico: nel 1979 fu assassinato in Nicaragua un telecronista della rete ABC. A partire da questo tragico evento, gli scaltri sceneggiatori Ron Shelton e Clayton Frohman hanno costruito per il grande schermo una vicenda romanzesca che mescola abilmente politica, amori contrastati e avventura in uno scenario esotico, su uno sfondo di guerra. Forse è un po’ troppo in un solo film, ma questa è una delle ricette vincenti alla base di molti classici del cinema hollywoodiano, a cominciare dal mitico Casablanca, che conteneva esattamente gli stessi ingredienti, ma cucinati in salsa nordafricana. Toute proportion gardée, ovviamente.

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Video

Trailer di Sotto tiro - Roger Spottiswoode © YouTube

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